La Prigioniera by Malika Oufkir

La Prigioniera by Malika Oufkir

autore:Malika Oufkir [Oufkir, Malika]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: General, Fiction
ISBN: 9788804481515
editore: Oscar Mondadori
pubblicato: 2000-06-14T22:00:00+00:00


La fame

La fame umilia, la fame avvilisce. La fame ti fa dimenticare la tua famiglia, i tuoi amici, i tuoi valori. La fame ti trasforma in un mostro. Noi avevamo sempre fame.

Ogni quindici giorni i mouhazzin portavano delle provviste nella cella di Achoura, che cucinava per tutti noi. Lei me le passava una dopo l'altra attraverso un buco minuscolo che avevamo scavato nel muro tra le nostre due celle.

Doveva arrangiarsi con quello che aveva per nutrire nove persone fino all'approvvigionamento successivo, e quello che aveva era ben poco.

Mai latte, né burro né frutta, salvo di tanto in tanto qualche dattero avvizzito e delle arance ammuffite. Della verdura guasta, due ciotole di farina, una ciotola di ceci e una di lenticchie, dodici uova marce, un pezzo di carne andata a male, qualche pezzetto di zucchero, un litro di olio al mese e un vasetto di detersivo, questo era tutto quello che normalmente avevamo a disposizione. Buttare via qualche cosa era fuori questione. Non avevo mai visto delle verdure in quello stato e mai avevo pensato che si potessero mangiare. Le carote erano verdi, con una radice spessa e lunga. Con le melanzane verdastre e schiumose, Achoura preparava un piatto che i ragazzi avevano chiamato «lo stufato giapponese». Le lenticchie erano piene di insetti che galleggiavano nell'acqua.

A forza di cuocere e ricuocere ogni alimento si riusciva a dimenticarne il gusto e l'aspetto, e a rendere la consistenza più tenera. Anzi, si litigava per averne ancora. I nostri problemi di digestione sembravano nulla rispetto agli altri mali di cui soffrivamo continuamente. I nostri corpi si erano abituati alla mancanza di igiene. Da bere avevamo acqua a volontà, ma era salata, per cui non ci dissetava.

Mi accorsi che Achoura e Halima avevano organizzato un piccolo mercato nero del cibo, barattando dello zucchero o del pane con le altre celle. Avevo un bel contare e ricontare tutto, quasi fino all'ultimo cece, ma mancava sempre qualche cosa. Mi dicevano: «Sono i ratti, sono i topi, questo è marcito...».

Ma io non mi fidavo e decisi di prendere in mano la gestione delle provviste. Quando arrivavano nella loro cella, io le controllavo e le confiscavo. Riponevo tutto quello che ci davano nella piccola cella contigua alla nostra, in una dispensa improvvisata sotto alcune mattonelle; il pane lo nascondevo in una valigia. Volevo economizzare al massimo, per arrivare al prossimo approvvigionamento.

Ogni giorno avevamo bisogno di un pezzo di zucchero per il nostro caffellatte e di uno spuntino per i ragazzi verso le undici, soprattutto per Abdellatif che, crescendo, era fra tutti noi il più ossessionato dal cibo. Noi, le ragazze, mangiavamo poco: dopo il caffè della mattina, aspettavamo le verdure della cena. D'estate, non soffrivamo molto la fame, faceva troppo caldo, e poi ci eravamo abituati a quest'alimentazione da carestia; d'inverno, i nostri stomaci protestavano rumorosamente, ma noi facevamo finta di non sentirli.

La sera davo ad Achoura gli ingredienti per preparare uno stufato, che lei cucinava sul fuoco e poi divideva in nove porzioni. Si ripeteva sempre la stessa



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